La verità dicibile
 
Le confessioni dei brigatisti sono false? Secondo una parte della pubblicistica i racconti dei protagonisti della rapimento Moro non sarebbero altro che una "verita dicibile" ovvero una versione dalla quale sarebbero state eliminate le parti compromettenti per gli apparati dello  Stato e i partiti politici. In cambio di queste omissioni i brigatisti avrebbero ottenuto significativi vantaggi processuali e penitenziari.
  
 
La verità processuale e la dietrologia
Il  rapimento e l'uccisione del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro è senz'altro il crimine più indagato della storia repubblicana. Cinque processi e 4 Commissioni di Inchiesta parlamentare non sono riusciti, secondo un sentimento comune nell'opinione pubblica, a chiarire del tutto la vicenda. 
 A contribuire a questa visione negativa, nei confronti di quanto emerso in sede giudiziale, hanno contribuito libri ed inchieste che sostengono  che nulla di quanto fin qui appurato corrisponderebbe al vero.
 Nel corso degli anni si è creata una vera corrente di pensiero, genericamente definita "dietrologica",  secondo la quale la vicenda del rapimento e l’uccisione di Aldo Moro sarebbe  tutta da riscrivere
In via Fani non ci sarebbero state solo le Br, il rapimento sarebbe stato gestito da forze oscure più o meno identificate, la prigione di Aldo Moro non era in via Montalcini e perfino la morte del Presidente della DC non sarebbe avvenuta nella Renault rossa. 
Ipotizzando, di conseguenza,  un vero e proprio complotto in cui sarebbero, di volta in volta, partecipi servizi segreti italiani, stranieri, criminalità comune e a cui non sarebbe mancato  il contributo di apparati dello Stato e partiti politici.
Nei primi anni del “dopo Moro”, quando la versione brigatista era assente, a causa del rifiuto dei terroristi di collaborare, fu sicuramente più agevole, attraverso una "lettura diversa" delle risultanze processuali, prospettare scenari diversi ed inquietanti.
La versione brigatista
Dal  1985  i brigatisti iniziarono a fornire la loro versione. Prima  la confessione  di Morucci e Faranda, culminata nel famoso memoriale,  a cui seguì  nel 1994 la ricostruzione, in linea col il memoriale,  di  Mario Moretti , attraverso la lunga intervista  a Rossana Rossanda  e Carla Mosca.  Negli anni seguenti, poi, questa  versione  fu confermata   anche da Gallinari, Fiore, Balzerani, Braghetti, Maccari.
Le ricostruzioni dei brigatisti, tranne piccoli particolari, sono abbastanza univoche  e in particolare   tutte sostengono che le BR agirono da sole senza nessun aiuto esterno. 
Una verità,  quella fornita dai brigatisti, in contrasto con gli scenari alternativi proposti in decine di inchieste.
Il  lavoro della   "dietrologia" è quindi diventato  principalmente quello di smontare le ricostruzioni dei terroristi dimostrando la loro inattendibilità. 
Dimostrare che i brigatisti dicono il falso nella ricostruzione delle varie fasi del rapimento non poteva bastare. C'era una  domanda di fondo a a cui rispondere. 
  Perché i brigatisti, tutti insieme, hanno costruito una versione diversa dalla realtà? Una versione che, secondo quanto afferma "la dietrologia",  coprirebbe proprio quello  Stato contro il cui  i brigatisti hanno combattuto e  sacrificato parte della loro vita.
La teoria del patto 
A questa domanda si è cercato di rispondere con una nuova teoria  espressa principalmente  da due libri usciti quasi in contemporanea nel 2015. "Complici: il patto segreto tra DC e Br” di Stefania Limiti e Sandro Provvisionato e “Patto d’omertà: i silenzi e le menzogne della versione brigatista” del decano della dietrologia Sergio Flamini.
La tesi  del cosiddetto patto è ben delineata in Complici: 
   Ci siamo calati nelle interminabili giornate del sequestro e poi,  a dramma concluso, nel lungo dialogo a distanza, pubblico e  clandestino al tempo stesso, tra i brigatisti sconfitti e gli uomini
    della Dc. Abbiamo cosi seguito il filo della loro complicità che  ha reso il «caso Moro» una lunga trattativa, pressoché infinita,  tra la Democrazia cristiana e le Brigate rosse, che forse si è  conclusa con la scarcerazione degli uomini e delle donne più  in vista dell'organizzazione. S.Limiti S. Provvisionato, Complici, Chiare lettere, 2015,  pag. 8.
Quindi un patto  che vede come controparti da una parte la DC.
   La Dc non poteva permettere che venisse alla luce il suo  sbandamento e la sua responsabilità per la perdita della vita  dell'ostaggio Aldo Moro. Si pensi alle tante ambiguità sugli  effettivi sforzi compiuti nella localizzazione della «prigione del  popolo», alla scarsa capacità che ebbero i suoi massimi dirigenti di respingere le intrusioni esterne: da quel folto consesso  piduista insediatosi al Viminale durante i giorni del sequestro,  fino alle manovre degli esperti americani per orientare i rapitori e l'eliminazione dell'ostaggio. Ibid.
Dall'altra parte i brigatisti.
   Le Brigate rosse, dal canto loro, hanno sempre voluto rivendicare la loro purezza rivoluzionaria. E alcuni superstiti di quella stagione, certamente in buona fede e inconsapevoli dei tanti compromessi che i loro capi hanno intessuto sulle loro teste,  (...) Importavano anche gli sconti di pena, una legittima aspirazione che doveva però accompagnarsi al senso di responsabilità di dire come erano andate veramente le cose.  Ibid. pag.  9.
Abbiamo quindi una DC che attraverso  un vero e proprio patto con i brigatisti  intende seppellire tutte le proprie manchevolezze, omissioni ed addirittura la propria voglia, più o meno inconscia, di eliminare un personaggio diventato scomodo. Dall'altra  parte i terroristi,  che in cambio della purezza della loro storia e soprattutto  della promessa di una veloce scarcerazione hanno deciso di raccontare una storia gradita al "potere" nascondendo le parti scomode della vicenda.
La trattativa si sarebbe svolta tra il 1985 ed il 1990 ed avrebbe dato vita alla ricostruzione presente nel  memoriale scritto da Faranda e Morucci a cui si sarebbero successivamente "appoggiati" tutti gli altri brigatisti,  a partire da Moretti. 
  A sostegno di ciò vengono citati i contatti di Morucci e Faranda con  Suor Teresa Barillà e  Remigio Cavedon, vice direttore del  Il Popolo quotidiano della DC,  e la collaborazione di Morucci con il Sisde.
La verità dicibile
Negli ultimi anni questa "teoria del patto" ha avuto l'avvallo di ben due Commissioni di inchiesta parlamentare. 
  La 2°  Commissione di inchiesta sul rapimento Moro, che ha svolto i suoi lavori tra il 2015 e 2018, nella sua ultima relazione provvisoria sposa in pieno l'idea della trattativa.
  Nel corso dei lavori della Commissione  si è fatto riferimento al concetto di “verità dicibile”, a proposito del memoriale Morucci” e più in generale del quadro emerso in sede giudiziaria nel corso degli anni ’80 (…) questo processo di stabilizzazione di una “verità parziale” sul caso Moro, funzionale a una operazione di chiusura della stagione del terrorismo che ne espungesse gli aspetti più controversi, dalle responsabilità di singoli appartenenti a partiti e movimenti. CM2, terza relazione, dicembre 2017, pag. 139
Come si vede il concetto di "verità dicibile", con cui oggi si indica comunemente la falsa versione brigatista, è un'invenzione proprio della 2° Commissione Moro.
Il concetto viene ripreso anche dalla Commissione Antimafia che nella XVIII legislatura ha dedicato parte dei suoi lavori alla vicenda Moro. 
  Nella relazione conclusiva infatti si legge:
      
        Il memoriale Morucci, in parte non credibile, elusivo, lacunoso (...) e comunque finalizzato a nascondere parte delle modalità esecutive dell’operazione del 16 marzo, puntando a lucrare significativi vantaggi processuali e penitenziari (...)  Fornendo queste versioni il caso Moro è stato chiuso dai suoi principali protagonisti nello stretto ambito di una « verità dicibile » Commissione Antimafia, relazione finale, settembre 2022, pag. 6.
Riepilogando la cosiddetta" verità dicibile" è stata il frutto di una trattativa tra la DC ed i terroristi  che ha portato ad uno scambio da una parte una verità addomesticata che mettesse al riparo i politici da eventuali rivelazioni "scomode",  dall'altro i brigatisti in contropartita avrebbero ottenuto "significativi vantaggi processuali e penitenziari"
Ma questi vantaggi, ottenuti dai brigatisti,  che sono uno dei presupposti della teoria della  "verità dicibile", ci sono stati veramente?  E' da qui che iniziamo l'analisi della" teoria del patto"